E nonostante tutto continuavano a chiamarlo Sua Sanità. Un processo a Varese anni addietro, retaggio di quando era direttore generale al “Circolo”: assolto due volte. Un altro alle viste a Milano come conseguenza delle accuse di corruzione ipotizzate nei confronti del suo principale, Formigoni: storia fresca di stampa. La voglia di dire: “Adesso basta, me ne vado”, Carlo Lucchina l’ha avuta. Aveva confidato agli intimi una domenica bestiale d’inizio estate, quando la sua foto era su tutti i giornali: “Troppo fango. Non è possibile vivere in un Paese dove se decidi qualcosa rischi di passare per ladro. A 63 anni non ho bisogno di rubare. Arrivederci e grazie”. Poi ha riflettuto ed è rimasto dov’era, al vertice della piramide amministrativa di un comparto da 18 miliardi di euro con 125mila addetti e una sventagliata di ospedali, cliniche, laboratori: “Non posso andarmene da perdente, resisto nella speranza che facciano presto”.Il personaggio nasce figlio di panettiere a Casbeno, Varese. Studia, si laurea, è bravo con i bilanci, fa carriera nei ranghi della Provincia. Lo cooptano in Regione quando comincia l’era dei manager cui affidare la guida degli ospedali e naturalmente lo destinano nella sua città. Poi, nel 2002, arriva la chiamata del “Celeste” che lo promuove dg di tutta la Sanità lombarda. Ciellino? “No. Amico di alcuni ciellini a Varese, questo sì”. Allora com’è andata? “Un’occasione, un passaggio alla Bergamaschi, ma non lo scriva perché non voglio mettere in imbarazzo nessuno. Cercavano un direttore generale di vertice e il governatore ha scelto me”. E chi gli aveva suggerito il suo nome? “Non lo so”.Crederci o meno, importa poco. Importa che Carlo Lucchina decida di rompere il silenzio davanti a una pizza fumante, a patto che non gliela si faccia restare sullo stomaco parlando solo dell’inchiesta giudiziaria di cui sa bene di non essere il bersaglio. Nel mirino ci sono i 17 anni di formigonismo al Pirellone, virtuosi secondo molti, discutibili secondo altri. Ci sono il celebre tuffo del governatore dove l’acqua è più blu, la barca e le vacanze a sette stelle propiziate, non si sa se anche pagate, dal suo amico Daccò, il sospetto che riconoscendo rimborsi a ospedali accreditati, una parte sia finita dove non doveva.
Già, Daccò. Lei Lucchina lo conoceva?
“Certo. Uno dei tanti erogatori privati che lavorano per e con il sistema sanitario nazionale”.
Un direttore generale che ruolo svolge nei confronti di questi soggetti?
“Mette la firma, previo controllo, su delibere della giunta regionale. Nello specifico si tratta di prestazioni non tariffabili nel settore della riabilitazione complessa e sottolineo complessa. Più che rimborsi a pie’ di lista, riconoscimento di contributi regionali per servizi a pazienti, in questo caso della Fondazione Maugeri. Per capire di che cosa parliamo, di ogni miliardo di bilancio, l’85% si riferisce alla contabilità di aziende sanitarie pubbliche”
E a lei che cosa contesterebbero?
“Lo saprò quando avrò, se l’avrò mai, un’informazione di garanzia. Oggi sono iscritto nel registro degli indagati e ho letto sui giornali che cosa s’ipotizza nei confronti del presidente. Corruzione internazionale? Eh no….”
Indagato per la funzione, insomma: responsabile di una sanità lombarda unanimemente definita eccellente e di un modello dai rivali politici considerato logoro. Vogliamo spiegare questa eccellenza sbandierata e questo logoramento presunto?
“Capacità degli uomini e qualità delle strutture. Indiscutibili come provano richieste di ricoveri e di prestazioni provenienti anche dall’estero, non solo da altre regioni. Istituto Tumori e Besta di risonanza mondiale, Ematoncologia punto di riferimento autorevolissimo, decine di specialisti stranieri gratificati dal lavoro e dalla ricerca in strutture lombarde. Questa è l’eccellenza. Il modello? Un’idea vincente di Formigoni. Mettere non in concorrenza, ma in competizione pubblico e privato per soddisfare la domanda, altrimenti irricevibile, della popolazione. Caricate tutto sul pubblico e tutto sul privato e l’edificio crollerà. Lo dicono le leggi di mercato”.
Ma la sanità, lo sappiamo, non risponde sempre a queste leggi. Concorda?
“Certo perché un ospedale non è un’industria. Tu puoi proporre una protesi all’anca al prezzo più basso, ma se l’ortopedico ti dice che con quel materiale lui non lavora perché si accolla il rischio di complicanze, devi accettare la sua versione. Ci fosse un osservatorio dei prezzi sanitari a livello nazionale, avremmo mille problemi in meno. Non c’è. Ci sono i tagli che sono passati sotto silenzio sulla stampa: 16 miliardi in meno dallo Stato alle Regioni”.
Le piace la riforma appena licenziata dal governo Monti? Più medicina di base, meno ospedali…
“Il ministro Balduzzi è un amico personale e mi secca criticare le sue misure. Con quali risorse si finanzia questa svolta? E dov’è scritto che i medici esterni dovranno garantire prestazioni h24? Io ho letto un’altra formula: nell’arco della giornata. Il problema che assilla gli ospedali e quello dei malati cronici. In Lombardia lo stiamo affrontando con una sperimentazione, di concerto con i medici di base, a Milano, a Melegnano, a Bergamo, a Lecco e a Como. Verificheremo i risultati”.
Tempi duri per i piccoli ospedali?
“Se la domanda è: quanti ne chiuderemo, la risposta è: nessuno. Se per tempi duri s’intende eliminare doppioni, effettuare un riordino sul territorio, la risposta è: razionalizzazione inevitabile. Neuro e cardiochirurgie, emodinamica, punti-nascita sono settori che la giunta da deciso di mettere sotto osservazione. Due sale-parto distanti venti chilometri una dall’altra è difficile giustificarle. Salvarle se hanno i numeri, chiuderle se non le hanno. E i numeri, in sanità, sono l’unica garanzia di affidabilità perché più casi si vedono in un reparto, più il paziente è al sicuro”.
Scure sui primariati?
“Penso proprio di sì e la decisione non è mia, ovviamente. Da qui al 2015 la previsione è di 150-200 tagli”.
Parliamo della situazione nella sua città. Cresce, anche se a scoppio ritardato, l’incomprensione a proposito della decisione di investire sul “Del Ponte”, ospedale di mamme e bambini, quando nel vecchio “Circolo” si sono creati spazi da vendere. A domanda di numerosi cittadini, nessuna risposta dell’autorità. Chi più di lei?
“Il polo materno-infantile al “Del Ponte” non è un’operazione edilizia. Se lo fosse, giustificate sarebbero le prese di posizione, appunto tardive. Perché non concentrate tutto al “Circolo” e non vendete l’area liberata di Giubiano? Risparmio di milioni di euro. Perfetto. Ma le scelte sono state altre. L’ospedale dei bambini, che non dovrà avere rilevanza solo cittadina, è altra cosa, separata, rispetto all’ospedale degli adulti. S’è deciso di creare a Varese e Milano due poli specialistici capaci di diventare punto di riferimento per il nord-ovest. E’ una scommessa che tiene conto di un fatto: oggi per le patologie rare e importanti dei bambini le famiglie lombarde si rivolgono al Meyer, al Gaslini di Genova, al Bambin Gesù”.
Ma per cambiare indirizzo, e venire a Varese, occorre che il “Del Ponte” abbia le specialità chirurgiche, la rianimazione, i laboratori. Li avrà?
“Per la Regione il programma è prioritario. E ci sono fior di specialisti pronti a venire a lavorare a Varese e nell’altro polo, quello milanese, frutto di aggregazioni a rete attorno al “Buzzi”. Il “caso Del Ponte” credo sia dovuto a problemi di comunicazione. Forse chi si sta prodigando per quest’opera, calandosi troppo nella parte, ha perso di vista la gerarchia dei ruoli”.
Che sarà degli scatoloni rimasti vuoti al “Circolo”?
“Credo che la Regione attenda le decisioni urbanistiche del Comune di Varese”.
Piccate reazioni nel Rione Sanità, ramo varesino all’ l’imprevisto, anche da autorevoli leader, trasloco del dg Bergamaschi al Niguarda. Lo chiediamo a lei perché Bergamaschi aveva e ha il marchio Lucchina stampato in fronte.
“E invece non dovreste chiederlo a me”.
Guardi che questa non è una mozione di sfiducia nei confronti del nuovo arrivato Callisto Bravi. Anzi.
“Mi fa piacere perché i varesini avranno modo di conoscere il soggetto. Vi dico solo una cosa: è bergamasco. Cocciuto e decisionista. Ma da varesino me la fate fare una considerazione?”
Perbacco…
“Da varesino vi devo dire che se guardo gli ospedali della nostra zona da Milano, cioè dal quartier generale, mi rendo conto che il loro peso nella classifica regionale si colloca al decimo posto per utenza e quindi rilevanza. Prima vengono, e so di tirarmi addosso le ire dei concittadini: Niguarda, Policlinico, San Matteo di Pavia, Riuniti di Bergamo, Civili di Brescia, Istituto Tumori, Besta, San Gerardo di Monza. Formigoni doveva tamponare una situazione delicata nel più grande ospedale della Lombardia. Ha chiamato uno di cui si fidava”.