Sul set di Mister Ignis. Con Flaherty

Giovanni con la barba incolta e gli occhi gonfi si muove nella vecchia officina della «Elettricità Guido Borghi e figli» da dove tutto è cominciato. Ragnatele ricoprono lampade, attrezzi e banchi di lavoro, c’è l’antico furgone col nome della ditta scritto a mano su una fiancata. A un certo punto la porta si apre e compare Maria, la moglie di Giovanni. «Come hai fatto ad arrivare fin qua?», chiede lui, seduto sul retro del veicolo. «Io so sempre dove cercarti», risponde lei. Ancora lui: «Il tempo qua si è fermato, prova a respirare. Sono gli odori di quando eravamo bambini. Te le ricordi le merende, il burro e il pane con lo zucchero? Siamo diventati vecchi, ma questa officina deve tornare a vivere. Voglio che tutti sappiano da dove vengono i Borghi». Maria abbraccia Giovanni, i due si baciano con tenerezza: «Io non sono ancora preparata a diventare vecchia. Mi devi aiutare. Ormai non facciamo altro che sognare i nostri ricordi». Da fuori campo si leva una voce: «Stooop. È buona, ma la rifacciamo», dice Luciano Manuzzi, il regista. «Tu Giovanni devi accompagnare con lo sguardo Maria mentre si avvicina al furgone e ti cerca. E tu Maria… più morbida. I due nella vita sono stati uniti anche quando sembravano lontani». Un’altra voce da retro: «Ciak Mister Ignis, scena 47. Azione». Silenzio surreale. Sì, Giovanni Borghi sta diventando una fiction per Rai1 e chi vi scrive è l’autore del libro che l’ha ispirata, «Mister Ignis», appunto, edito da Mondadori. Siamo venuti sul set capire, a curiosare, a vedere l’effetto che fa, canterebbe Jannacci.È una magia la scrittura che si materializza in immagini. E affidare un racconto a un attore è come trasmettergli un tuo pensiero attraverso fili invisibili. Bella sensazione. Tu hai scritto duecento pagine, magari in un momento in cui dovevi tener lontana la tristezza, e qui c’è un circo con undici Tir, decine di comparse, migliaia di vestiti di scena, una selva di proiettori, che quelle pagine sta rendendo vive in una film. Stiamo perlustrando con gli occhi del Fanciullino di Pascoli la catena di montaggio della settima arte. Diceva il grande Edoardo: tutto qui è talmente finto da diventare vero. Ma guardiamo la sceneggiatura. Il «re dei frigoriferi» è Lorenzo Flaherty, il bel capitano dei Ris. Sua moglie è Anna Valle, l’ex miss Italia, e questa alla quale assistiamo è una delle scene più intime. Giovanni sente avvicinarsi le ombre del declino dopo essere stato vulcanico protagonista del miracolo industriale italiano, aver edificato fabbriche, forgiato uomini, aperto convitti, inventato la pubblicità mediata dallo sport, organizzato formidabili raid nei casinò della Costa Azzurra. Un giorno va nella vecchia officina di famiglia a ubriacarsi di nostalgia, ma anche di orgoglio, e a sorpresa lo raggiunge la moglie che della vita di un marito così, gagliardo fuori e tenero dentro, è stata silenziosa e discreta custode. È uno dei momenti-chiave della fiction, il punto nel quale gli sceneggiatori immortalano quel senso della famiglia che mille distrazioni mondane non hanno mai fatto venir meno nel leggendario Cumenda. Non dovete stupirvi se siamo a Belgrado, in quella che, regnante Tito, era un’immensa fabbrica di trattori prodotti per tutta l’Europa dell’Este a per il mercato dell’Unione Sovietica. Il luogo è diventato la Cinecittà low cost dei registi italiani, dopo la dolorosa scomposizione della Jugoslavia. Anche «Il Commissario Nardone» è stato girato qui, sulle rive di un Danubio triste, diverso da quello felix di Vienna e Budapest: la guerra ha proiettato sangue e orrore nelle sue acque. Le bombe del ’99 non hanno solo sventrato i palazzi del centro storico, mai ricostruiti per scelta («non si deve dimenticare»), ha pure segnato le coscienze di un popolo, paralizzato le lancette della storia, fermato il tempo ai nostri anni ’70. «Paura d’amare», altra fiction celebre, è un set permanente che ha piantato le tende all’ombra della fortezza, simbolo di Belgrado. Ora tocca a «Mister Ignis» le cui riprese sono cominciate ad agosto e dureranno fino a ottobre inoltrato.

PADRE E FIGLI

Il quartier generale del cast e dintorni è una strada che costeggia uno degli sterminati capannoni. Per ogni attore una roulotte nella quale cambiarsi, specchiarsi, lavarsi. «In fondo siamo come dei minatori», dice uno del set. Parallelo esagerato. Lorenzo Flaherty è Giovanni Borghi in tre versioni: prima giovane e irruente, capelli neri impomatati, pantaloni di velluto e maglione; poi adulto in carriera, giacca, cravatta e gilet, su e giù dal suo elicottero, mattina in ufficio a Comerio, con la segretaria Annamaria (Caterina Ossola nella realtà) interpretata dalla bella e imponente Federica Martinelli, pomeriggio in Fiera a Milano con i commercianti interessati ai suoi fornelli; infine maturo sessantenne, i baffi sale e pepe, il pensiero fisso alla Philips che vuole diventare socia nella sua Ignis. Andreotti lo aveva avvertito: «Si ricordi commendatore che il pesce grande mangia quello piccolo». Anna Valle, moglie del «Giuan», è una bambolina di Capodimonte, dolce e fragile, stretta in un tailleur nero, cappello e veletta. Massimo Dapporto fa Guido senior, il papà di Giovanni e dice che il personaggio gli ispira tanta tenerezza, fiero dei suoi tre figli, con un debole per uno di loro, geniale e matto, generoso e mai fermo. Rodolfo Corsato, altro volto noto delle fiction, interpreta Gaetano, il fratello maggiore di Giovanni, Denis Fasolo, Giuseppe, il fratello minore, morto a 39 anni. Fu per lui, amante del pugilato, che il Cumenda s’avvicinò alle arene dello sport finendo per affiancare alla fabbrica di Comerio una sorta di villaggio olimpico popolato di calciatori, cestisti, ciclisti, canottieri, tennisti, boxeurs. Cesare e i suoi gladiatori, scrisse una volta Indro Montanelli. Greta è una bambina di cinque anni, romana: sulla scena è la piccola Midia, primogenita di Giovanni Borghi, poi c’è Guido da ragazzo, interpretato da Enzo Saponara.

LA BILOCAZIONE

Dietro le quinte un formicaio di attività. Non s’immagina, fino a quando non la si è osservata da vicino, che cos’è l’organizzazione di un set. Renzo Martinelli, il produttore della fiction, resta convinto che il cinema ancora si fa con i grandi artigiani: ciascuno fabbrica un pezzo di scena e tutto parte da un disegno fatto a mano, lo storyboard. Il digitale interviene ad abbellire il tutto, ma ci vuole sempre il talento dell’uomo perché la cattedrale, alla fine, quando viene mostrata al pubblico, risulti splendente. Roberto Andreucci, direttore operativo dell’industria che sta producendo Mister Ignis a Belgrado ci racconta come avverrà, sullo schermo, il miracolo della bilocazione. Nelle due puntate della fiction vedremo Giovanni Borghi nella fabbrica di Cassinetta di Biandronno così come abbiamo visto il commissario Nardone con la sua Balilla nelle vie di Milano. E potremmo giurare che Flaherty e Assisi hanno recitato lì, a Varese e in piazza Duomo. Potenza del computer: fuori il pannello verde che fa da sfondo alle riprese cui abbiamo assistito a Belgrado, dentro le foto e i film con l’ambientazione reale, dei luoghi in cui si sono svolti i fatti. Due colpi di mouse e la simulazione diventa verità.Qua nte impressioni e quanti pensieri sulla favola, ora anche cinematografica, di un operaio diventato re. Girando per le vie di Belgrado ci è tornato alla mente Aza Nikolic, l’allenatore della grande Ignis che ha vinto tutto quello che c’era da vincere nella pallacanestro. Lui era di qui, Giovanni Borghi lo amava, ma quando qualcosa gli andava di traverso, lo mandava al diavolo simpaticamente, mai di presenza, perché soffriva e rispettava l’autorevolezza dello straordinario allenatore: «Quello lì è un comunista», bofonchiava.S ull’aereo di ritorno dalla Serbia c’erano decine di tecnici e operai della Fiat impiegati nelle fabbrica dalle cui catene di montaggio sta uscendo la versione allungata della 500. Quante cose sono cambiate dall’epoca di Borghi. L’Italia dei suoi tempi fabbricava tute blu, quella di oggi esporta attori.

 

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